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Villani & Porcari

Nel particolare che si riferisce al benefico effetto del buon governo in campagna nell’ ”Allegoria ed effetti del Buono e Cattivo Governo”, ciclo di affreschi dipinto da Ambrogio Lorenzetti nel 1338 – 40, situato nella Sala dei Nove del Palazzo Pubblico di Siena, fra i vari episodi diretti ad illustrare le attività delle campagne senesi, oltre alla semina, alla mietitura, alla trebbiatura, alla pesca, alla caccia, ecc., vi è raffigurato un villano che conduce verso la città un suino, trattenendolo con una corda che ha legata al pastorale del piede destro posteriore dell’animale. Questo particolare rivela l’importanza che anche allora doveva avere in Siena e dintorni la suinicoltura. Ma ci dice qualche cosa di più, e cioè che tra i suini allevati la razza dominante era la Cinta.»Dal libro Cinta Senese, edito dal Consorzio, Novembre 2020

Il Villano in noi

“Villano” è chiamato nei libri di storia dell’arte, il personaggio che nel celebre affresco del Lorenzetti dalla campagna porta (“manda”) il maiale di Cinta Senese in Piazza del Campo. Villano deriva dal latino tardo villanus «abitante della villa», cioè della campagna: v. villa. Nel medioevo, chi risiedeva nella villa, la terra aperta che si contrapponeva al borgo e al castello, nella condizione di servo della gleba – quindi, con sign. più generico, uomo di campagna, contadino.

C’era una volta in cui noi, Porcari Toscani, venivamo chiamati villani. E c’è ancora. Tra i villani d’oggi ci sono i primi viticoltori e olivicoltori eccellenti, che allevano la Cinta Senese. Dal 2021 il Consorzio della Cinta Senese invita viticoltori e olivicoltori a dedicare la loro eccedenza di terre all’eccellenza e – così facendo – di contribuire non solo alla tutela della Cinta Senese, ma alla tutela del lavoro. In quest’era di riscoperta della terra come luogo di lavoro, aspiranti allevatori si rivolgono a noi: vogliono allevare la Cinta Senese ma non possiedono terreni.  Chiediamo a chi ha terreni in eccedenza, di prestarli per un Ghiandatico e una Decima Porcorum in cambio della loro ospitalità di Porcari Toscani che vi alleveranno la Cinta Senese. Dal Consorzio i “Villani” riceveranno il supporto e il Vademecum del Magister Porcarius.

Il Ghiandatico e la Decima Porcorum

La formula contemporanea del Ghiandatico e della Decima Porcorum si ispira al Medioevo ed al Rinascimento.
In mezzo alle aree incolte si insinuavano le abitazioni, gli orti, i campi, le vigne, realtà diversamente presenti
nel paesaggio a seconda delle zone; ma anche nelle zone più intensamente coltivate e, per così dire, antropizzate gli uomini avevano familiarità con i boschi, che circondavano da ogni parte i villaggi e le città, mescolandosi ai
campi e alle vigne. Fra le attività silvo-pastorali, soprattutto l’allevamento brado dei maiali era sentito come importante, ed aveva un tale rilievo nell’economia e nella mentalità del tempo, che i boschi erano stimati in termini produttivi esattamente come il campo e la vigna: se questi appaiono valutati, con le stime di natura “concreta” caratteristiche dell’epoca, in moggi di
grano e in anfore di vino, la silva è “misurata” in base al numero di maiali che è capace di ingrassare. E se mancava tale capacità, il bosco era definito “infruttuoso”. Chi non possedeva boschi, ed era costretto ad affittarli, doveva pagare il
“ghiandatico”, una tassa per le ghiande raccolte o consumate dal branco, oppure dare la “decima porcorum”, la decima parte dei maiali al proprietario del fondo.

In animo abbiamo anche stagionature di prosciutti in vinacce e nella cantine di vini celebri, con edizioni numerate e co-firmate.

Villani & Porcari: esclusivi e inclusivi

In ogni tempo, l’uomo è stato instancabile nell’inventare criteri di inclusione ed esclusione, atti a stabilire un ‘noi’ e un ‘loro’ su base geografica (nord-sud, oriente-occidente), di stirpe (nobili-plebei, razze ‘pure’ e ‘impure’), di religione (fedeli) e via discriminando. Tra le divisioni più rilevanti e durature vi è senz’altro quella tra cittadini e abitanti delle campagne, e la storia di parole come cafone, bifolco e pacchiano non lascia dubbi circa il giudizio degli uni sugli altri. Anche villano, naturalmente, appartiene al medesimo campo semantico, eppure pare meno trasparente nella sua ovvia derivazione dalla villa: essendo quest’ultima una casa signorile, di pregio, cosa c’entreranno mai i contadini? In realtà, occorre precisare di quali ville si parla. Il senso odierno del termine è analogo a quello della villa urbana dei Romani: una residenza di campagna, in cui chi poteva permetterselo andava a ritemprarsi dalle fatiche della vita cittadina o dalla calura estiva. La villa rustica, invece, più lontana dalla città, era una fattoria abitata permanentemente dai servi che coltivavano la terra, e nel Medioevo queste ville divennero tenute agricole autosufficienti e in genere fortificate, i cui abitanti, spesso servi della gleba, erano detti villani o villici.

Il Villano nella poesia

e a’ villani rivolto disse «Vedete, signori, come egli m’aveva lasciato nell’albergo in arnese …» (Boccaccio); Allora il buon villano sorge dal caro Letto (Parini); Come assiso talvolta il villano Sulla porta del cheto abituro (Manzoni); e al femm.: i baldanzosi fianchi De le ardite villane (Parini); arnesi … quanti Ne porta in petto, al collo e sulla testa La v. elegante il dì di festa (Giusti). Oggi questo sign. è vivo solo regionalmente o in alcuni proverbî: v. affamato è mezzo arrabbiato; al v. la zappa in mano; carta canta e villan dorme (cioè, con un documento scritto in mano, le persone, e specialmente quelle semplici e sprovvedute, sono più tranquille sull’applicazione dei patti convenuti). Quando [madonna] va per via, Gitta nei cor villani Amore un gelo, Per che onne lor pensero agghiaccia e père (Dante, opponendo il cor villano e il cor gentile secondo le concezioni stilnovistiche); Le parole che ’ntese Avrian fatto gentil d’alma villana (Petrarca); il piede Villan del servo con l’eburneo dente Segnò di lieve nota (Parini, nell’episodio della vergine cuccia); per estens.: legate le mani con una v. corda (D’Azeglio); e con sign. che si avvicina a quello di «crudele», «spietato»: Morte v., di pietà nemica (Dante)

Il Villano nella storia

Non è difficile capire come nel basso Medioevo, in un’epoca di rinascita di città e traffici, i cittadini guardassero con disprezzo a chi era rimasto aggiogato al duro lavoro dei campi, estraneo ai fermenti di rinnovamento sociale e culturale che galvanizzavano i centri urbani. Ai rustici, che non potevano permettersi l’equipaggiamento da cavaliere, erano preclusi tanto la cavalleria quanto i suoi raffinati ideali di amor cortese, e non a caso nel Dolce Stil Novo l’opposto del ‘cor gentile’ – l’animo nobile, capace di accogliere in sé l’amore – è proprio il ‘cor villano’, così rozzo da essere “d’amor nemico e de li suoi disiri” (Cino da Pistoia). In realtà, all’inizio – e ancora fino all’Ottocento – villano poteva essere usato anche in senso neutro, come sinonimo di ‘contadino’, poi l’accezione spregiativa prese il sopravvento, e oggi il termine non significa altro che ‘maleducato, rozzo’ – inurbano, appunto.

Ma agli inglesi, evidentemente, questo trattamento non pareva abbastanza severo: il loro villain è addirittura una canaglia, un mascalzone, un delinquente, e in ambito narrativo – come personaggio di un romanzo, un dramma o un film – il villain è puramente e semplicemente il cattivo. Da Iago a Voldemort, da Capitan Uncino a Hannibal Lecter: tutti villains. Inoltre, essere villain non è neppure una prerogativa umana: tutto ciò che porta la colpa, la responsabilità di un danno o di una minaccia – ad esempio, il colesterolo rispetto alla salute, il traffico automobilistico quanto all’inquinamento – in inglese è un villain. I francesi, infine, hanno chiuso il cerchio. Come già osservato a proposito di netto, la lingua tradisce una chiara tendenza umana ad associare e contrapporre le triadi bello-pulito-buono e brutto-sporco-cattivo. Perché, quindi, i villani non dovrebbero essere anche brutti? Detto fatto: in francese, vilain non è solo brutto nel senso di ‘cattivo’ – un brutto raffreddore è un vilain rhume, il brutto tempo è vilain temps – ma anche in senso strettamente fisico: delle mani brutte sono vilaines mains.

In ogni lingua, insomma, il povero villano pare essere sprezzato e mazziato, ma con modulazioni differenti: l’italiano puntando il dito sulla malacreanza, l’inurbanità; l’inglese sulla malvagità, l’infamia morale; il francese sul deficit estetico. Possiamo trarne qualche conclusione?

Il “Villano con la Botticella”, scolpito entro il 1557 fu capostipite di una fortunata tradizione di statue di soggetto popolare che tuttora animano i percorsi all’aperto nel verde. Ricordata anche da Giorgio Vasari nella Vita di Bandinelli, fu trasferita nel Seicento nel parco della villa medicea di Pratolino. Ritornò nel Giardino di Boboli soltanto nel 1773. Commissionata da Eleonora da Toledo allo scultore fiorentino Baccio Bandinelli, la scultura fu effettivamente progettata da questi, che ne fornì il modello, ma fu eseguita dal suo allievo e collaboratore Giovanni Fancelli detto anche Nanni di Stocco, che in quegli anni stava lavorando con il maestro alla decorazione della vicina Grotta di Madama. La statua, in origine posizionata nella peschiera che da essa prese il nome di “vivaio del Villano”, aveva la funzione di fontana. Le arti figurative di quest’opera, espressione della scultura di genere cinquecentesca destinata all’arredo dei giardini, possono essere rintracciate nella statuariaellenistica e, in tempi più vicini agli autori, nelle stampe di Albrecht Dürer.

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