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Cinta fra natura e cultura

La Cinta protagonista nell’ ”Allegoria ed effetti del Buono e Cattivo Governo”,
ciclo di affreschi dipinto da Ambrogio Lorenzetti nel 1338 – 40, nella Sala dei Nove del Palazzo Pubblico di Siena.

Natura e cultura, cielo e terra, bianco e nero. Il fumo bianco e nero scaturito dalla pira augurale, che i due fratelli Senio e Ascanio accesero per ringraziare gli dei dopo aver fondato la città di Siena, il cavallo bianco e il cavallo nero sui quali poco prima fuggiron da Roma, i colori del Duomo di Siena, i Guelfi bianchi e i Guelfi neri… – La Cinta Senese è così: di bianco e nero vestita e in bianco e nero lei vede. La si vede in bianco e nero in un affresco nel Palazzo Pubblico di Siena, nella Sala dei Nove, nella “Allegoria ed effetti del Buono e del Cattivo Governo” – il dipinto da Ambrogio Lorenzetti nel 1338-40: la prima opera pittorica di carattere laico e civile della storia dell’arte italiana, perché è stata commissionata non dalla Chiesa, come per lo più accadeva in quel tempo, ma dal Governo dei Nove, un regime guelfo in carica dal 1287 al 1355. È di questo periodo la Torre del Mangia, che pur partendo da una levatura del terreno più bassa, raggiunge con la sua campana la stessa altezza del campanile del Duomo di Siena, per simboleggiare il raggiunto equilibrio tra il potere celeste e quello terreno, senza che nessuno dei due superi e si imponga sull’altro.


Bianco e nero

Anche il marchio del Consorzio di Tutela della Cinta Senese è in bianco e nero. Colore delle origini, il bianco è associato al latte, nutrimento primordiale e universale. La principale proprietà del bianco, per questa ragione, è la neutralità, lo stato di tutte le cose possibili, il divenire. Considerato positivamente, suggerisce la pace, la purezza originaria, la verginità, la saggezza. Negativamente, esprime la fragilità e la vulnerabilità. Allo stesso modo del nero, il bianco non è veramente un colore. Se il nero equivale all’assenza di luce, il bianco corrisponde alla totalità dei colori. Il bianco trova tutta la sua solidità e la sua forza, quando è esaltato nella saggezza conferita nel tempo. Ma non c’è nessun bisogno di avere i capelli bianchi per essere saggio e, inversamente, i capelli bianchi non dispensano necessariamente la saggezza. Il neonato appena venuto al mondo è puro. Al termine della sua esistenza, se si è comportato bene, se ha superato tutti gli ostacoli, dovrebbe ancora esserlo. Ma se il bianco appare un colore superiore, rimane tuttavia, fra tutte le tinte, quella più esposta e dunque la più vulnerabile. Basta poco per toglierli il suo splendore e macchiarlo.

Il nero, poiché trattiene e assorbe la luce, si ricollega alle nozioni di profondità e di interiorità. Sul piano della realtà esteriore, questo colore evoca le viscere della terra; sul piano psicologico, incarna l’inconscio e le oscure profondità della sfera psichica umana. Il nero corrisponde all’assenza di luce. Esso trae la forza del suo significato dal suo carattereinsondabile. Il nero è il tunnel di cui non si vede la fine, il pozzo di cui non si sa valutare la profondità. Esso è al di dentro, all’interno, al centro. Bisogna scavare per trovarlo: il carbone, il petrolio, materie ricche e vitali, sono sepolte nel suolo. Il nero si trova, in modo identico, nelle profondità dell’essere. Tutto ciò che è sotterraneo o nascosto, ha attinenza col nero. È l’oscurità che precede l’organizzazione del mondo, il caos primordiale che cede il posto alla luce, prima creazione di Dio. L’oscurità che genera apparenta il nero alle forze notturne e occulte. Esso rappresenta allora il lavoro latente del sogno, l’arresto delle attività esterne, l’espressione della vita interiore, il sonno del corpo, ma anche il risveglio dello spirito. È il colore che sembra governare l’immaginario. L’anima, d’altronde, in molte tradizioni, ha questo colore quando esce dal corpo. Il nero non corrisponde, da un punto di vista psichico, al pensiero logico e razionale, ma piuttosto alla vita fantasmatica, sia individuale che collettiva. Il nero si oppone alle idee di ragionamento, concettualizzazione e argomentazione. È tutto ciò che non si conosce, ma che tuttavia esiste. Il nero rappresenta il mondo infernale, caotico o depravato, che contamina il bianco. Al contrario, se il nero è puro, diventa esso stesso simbolo di elevazione (l’ebano, l’inchiostro, l’onice). In generale, il nero appare sotto il suo aspetto negativo di caduta in Occidente, e sotto il suo aspetto positivo di profondità in Oriente.

Acqua

L’attività di tutela del Consorzio di Tutela della Cinta Senese ed il coltivare e l’allevare dei Porcari Toscani sono fondati primariamente sulla fecondità della Cinta Senese e sulla fertilità della terra. E quindi sull’acqua. A Siena e per i Senesi l’acqua, simbolo maggiore ed espressione della creazione e della purificazione, è molto di più che uno dei campi metaforici più fecondi. La ricchezza e la popolosità che raggiunse Siena nel Medioevo, è dovuta anche a una grande opera ingegneristica chiamata i “Bottini” – un ingegnoso sistema di 25 km di cunicoli sotterranei per canalizzare le infiltrazioni piovane dei terreni circostanti alla città, permettendo alla città di avere un approvvigionamento idrico pur in assenza di un fiume. L’acqua trasportata, sgorga ancora oggi nelle innumerevoli fonti della città.

È sotto il Governo dei Nove (dalla finedel XIII secolo a tutta la prima metà del XIV) che Siena cambia la propria immagine: alla pietra grigia si sostituisce il laterizio con la sua connotazione cromatica rossa. Si ha la costruzione del Palazzo Pubblico, della Torre del Mangia e la sistemazione del Campo; le strade principali vengono selciate o mattonate, si assiste all’ampliamento della cinta muraria e al tentativo di costruire la cattedrale più grande di tutta la cristianità.

E si scavano i “Bottini”.

Ci furono vari tentativi da parte dei nemici di penetrare nella città attraverso i suoi acquedotti: il caso più famoso è quello del 1526, quando Papa Clemente VII favorì una congiura per rovesciare il governo senese e trovò un alleato in Lucio Aringhieri, che promise di far entrare segretamente in Siena le truppe nemiche attraverso i bottini. La congiura fallì, perché un falegname, al quale erano state chieste delle scale, si insospettì e avvertì i governanti. Anche durante l’assedio del 1553 i bottini furono sbarrati, cercando però di non interrompere la portata di acqua.

Quando i documenti di quell’epoca secolo ci parlano di ‘porci silvestres’ (i porci della selva), alludendo ai cinghiali, ci lasciano intendere che quella definizione non vale più per gli altri porci, quelli domestici, non più individuabili come silvestri; quando ciò accade, sentiamo di essere ormai fuori del Medioevo. Con l’affermarsi dei nuovi rapporti di lavoro mezzadrili, a iniziare dal XIII-XIV secolo, i contadini tendenzialmente concentrarono tutte le energie proprie e della propria famiglia sul podere al cui interno continuarono a tenere qualche bestia. Nei secoli successivi l’allevamento nei boschi divenne così più marginale, e vennero sperimentate tecniche nuove di stabulazione, con la creazione di porcili permanenti all’interno delle singole aziende agricole. Insomma, il maiale cominciò a spostarsi dal bosco alla stalla. Questa “uscita dal bosco”, il venir meno progressivo dell’identità fra bosco e maiale, che aveva tanta rilevanza nella cultura medievale, questa rottura con la tradizione è un momento di particolare significato nella storia dell’economia e della società.

 
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